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L'intervista a Gianna Coppini

L'intervista a Gianna Coppini

Biografia: Parlaci di te, i tuoi studi, le tue esposizioni, ecc…

Gianna Coppini, insegnante in pensione, mi occupo dello SPI-CGIL sindacato dei pensionati, e sono coordinatrice delle donne della provincia di Siena. Laureata in Lettere moderne presso l’Università degli studi di Firenze. Scrivo poesie e prose.

Domanda: Quali sono stati i tuoi primi approcci al mondo dell’arte?

Risposta:

Per le poesie, scrivo fin da giovanissima. Per il disegno e la pittura ho preso delle lezioni da un bravo pittore sangimignanese

D: Se ci sono stati, chi sono i tuoi riferimenti culturali, il tuo maestro, il tuo faro nella tempesta?

R: Il nome del pittore non lo posso fare, per la scrittura tutti gli scrittori italiani ma soprattutto il poeta Ungaretti.

D: A quale campo artisti fai riferimento, pittura, scultura, fotografia, design, grafica, poesia, teatro, letteratura?

R: Poesia, teatro e letteratura.

D: Quali sono i soggetti della tua arte e da dove prendi spunto per i tuoi lavori?

R: La realtà della vita e della natura.

D: Dietro ogni tuo lavoro c’è un significato profondo, un aspetto che vuoi fare emergere?

R: Il ritorno alle radici.

D: Che cos’è per te il “bello”? Esiste il bello nell’arte?

R: Una categoria dell’anima. Certo.

D: A cosa ti stai dedicando ultimamente? Alla scultura, alla pittura o alla fotografia? Quale percorso stai seguendo?

R: Alla poesia, quando sento l’ispirazione.

D: Qual è il tuo metodo di lavoro? Spiegaci come arrivi all’opera finita…

R: Seguendo ispirazione e sentimento.

D: Parlaci un po’ dei tuoi strumenti di lavoro, dei materiali che usi, dei colori che prediligi…

R: [Digitare il testo]Carta e penna o computer.

D: Quali sono i tuoi progetti futuri?

R: Occuparmi dei più deboli, tenendo presente che le pari opportunità non devono essere esclusivamente di genere.

POESIE FIORENTINE

SETTIGNANO 1954

Cicale nel caldo estivo dell’orto.
Fuori dalla portafinestra della cucina
seduto sulla bassa sedia impagliata
il mento appoggiato al legno ricurvo del bastone
lo zio Enrico, fratello di mia nonna,
riempiva l’ombra rettangolare dell’ammattonato
con il suo tremolio.

Mi guardava con amore
attraverso gli occhi socchiusi
per il troppo sole,
scuoteva la grossa testa rotonda
e mi chiamava
(come già aveva fatto con mia madre bambina)
la sua cavallina bianca.

DORMIVEGLIA
Appoggiata al muretto
che dava sul campo
di San Gersolè
mi impegnavo a sentire
voci lontane di tempo e di spazio…

Quattro bambine
si rincorrevano ridendo
lungo la proda;
tre erano sorelle: la Lina, la Gina e la Margherita;
l’altra era Marta, la loro cugina.
Venute in vacanza dai nonni,
lasciata alle spalle una città troppo calda,
giocando si dimenticavano
della guerra finita da poco
e della miseria.
A metà pomeriggio
la nonna Gigia le chiamava
a fare merenda.
Circondata da oche
le aspettava in piedi
sotto la pergola.

PERIFERIA (Dai Del Vanga)
Il grande orto-giardino
della zia Vittoria
si apriva,
piccola giungla privata,
lungo il corso dell’Arno.

Ricordo poco la casa,
grande e soleggiata,
perché gli adulti vi parlavano piano,
di fronte ai ritratti di Ginevra,
giovane sposa
prematuramente scomparsa.

Con mia sorella
preferivo stare in giardino
dove si poteva correre e urlare.
Lungo i vialetti ordinati
sassolini grigi scricchiolavano
sotto le scarpe.

Ma lo zio di mia madre,
incurante dei nostri giochi,
zappettava in silenzio,
curvo sotto il suo peso.

SAN GERSOLE’
Raramente, con la bella stagione,
da Badia prendevamo il tram
che portava a Grassina.
Dopo una breve sosta
dalla zia Chiarina,
che sedeva al sole
sull’uscio di casa,
salivamo a piedi
verso San Gersolé.

(La nonna sorbiva a piccoli sorsi,
con parsimonia,
quasi fossero medicine,
le visite alla famiglia.)

La piccola bottega, a terreno,
aveva sempre la porta aperta.
Ottavio, lo zio dalla gamba diritta,
ci aspettava con ansia.
Appena arrivate sull’uscio,
da dietro il banco
chiamava la zia,
attraverso la botola aperta.
Giulia scendeva a passettini corti e veloci
le poche scale
e correva ad abbracciare la sorella
identica a lei.

Era quasi mezzogiorno e, di lì a poco,
si sarebbero sentite le campane di Monte Oriolo.
In cucina la tavola era già apparecchiata
con la tovaglia celeste ricamata di bianco.
La stufa economica accesa, anche se faceva già caldo.

Dalla finestra aperta
che dava sulla strada
entrava un sole indiretto.

Salivamo insieme per lo stretto andito e,
mentre lo zio si levava il grembiule,
salutavamo la vicina curiosa
affacciata alla porta della sua unica stanza.
La casa era sempre in perfetto ordine:
sul letto matrimoniale ,ricoperto di rasatello,
un bambolotto appoggiato ai cuscini occhieggiava,
voglia inappagata di ormai impossibile maternità.

VIA RIPOLI
Difficile immaginare un pianoforte imprestato
nell’ingresso di una povera casa di operai.
Allo sferragliare assordante dei tram
scintille danzavano sui fili
e una mezzina di rame
tirava su acqua dal pozzo silenzioso.

L’orto dal tondo tavolo di pietra
sembrava quasi un giardino
quando l’aria si riempiva di rose
e il nonno, piantando cipolle,
intonava contento”La luna rossa”.

RIficolone
Quando nel frescazzurro della sera
l’Arno scorreva placido e tranquillo
un senso di fiorentinità vera
abbracciava ogni sguardo ed ogni strillo

C’erano babbi e mamme coi bambini,
gruppi di amici, coppie e vecchierelli;
i bimbi zampettavan sui piedini,
i vecchi si appoggiavano agli ombrelli.

Le palle in cima agli esili bastoni
ondeggiavano piano al fil di vento
e spesso si bruciavano i cartoni

da cui saliva un fumo acre e lento.
L’argine illuminato dai barconi
dava riparo a mille e più di cento.

LORENZO RAVENNI
Lorenzo abitava vicino al fratello
all’ultimo piano della palazzina
di via Luca Ghini.
Ada era da tempo
la sua seconda moglie
ma aveva amato Aldo
come una madre.
Il ragazzo era morto
cadendo dal motorino.
Senza di lui la casa
era rimasta vuota.

E forse nessuno sa ancora che visse…

LA ZIA OLGA
Piccola nel corpo
ma anche nell’anima
fu obbligata dal caso
a rimanere per sempre
una vecchia-bambina.

Se trovava l’uscio di casa
aperto
scappava senza ritegno
girovagando senza meta
tranquilla
per le vie silenziose.

Erminia correva
a cercarla
ma senza
troppa paura.

Fu costretta a morire
sola e senza un vero motivo
dentro gli alti muri
del manicomio di San Salvi.